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Chiara deve subire le attenzioni del suo padrone e della commessa di un negozio. Sarà un'esperienza da non dimenticare. 


Chiara sapeva bene cosa doveva fare. Si era vestita come piaceva a Marco, da poco tempo il suo nuovo padrone. Maglietta leggera, gonna plissettata molto corta, calze autoreggenti nere, scarpe con il tacco vertiginoso e, soprattutto, niente mutande e niente reggiseno. Marco come al solito arriva puntuale a prendere Chiara a casa sua. Come entra ha modi spicci e brutali, mette Chiara con la faccia contro il muro, con una mano le blocca le braccia dietro la schiena e comincia un’ispezione approfondita. Con la mano libera inizia a carezzarla con vigore sulla pancia, lungo le cosce, tra le tette. Improvvisamente le prende un capezzolo tra le dita e lo stringe forte. Chiara emette un mugolio sommesso, le piace essere usata e maltratta e subito la fica le si comincia a bagnare. Marco, lasciato il capezzolo, con una gamba fa allargare i piedi a Chiara, fino a che ha le gambe molto, molto aperte. Allora con la mano Marco scende lentamente verso la fica di Chiara e le infila in modo brutale due dita dentro. Chiara è veramente eccitata, anche se questa intrusione così improvvisa le procura un certo dolore. Ma non può fare a meno di godere anche e soprattutto per questo. Così come sono entrate, rapidamente le dita di Marco escono. In un attimo Chiara se le ritrova in bocca: “leccale troia, senti come sono buone”. E Chiara, come sempre ubbidisce. In fin dei conti è quello che più le piace Marco si stacca e va a prendere una cosa dalla sua borsa. Si tratta di una corda di canapa di circa un cm di diametro, molto ruvida e nodosa. Chiara è la prima volta che vede una corda di quel tipo. Altre volte è stata legata da Marco, ma mai con quel tipo di corda.
“Levati la gonna” le ordina Marco.
Chiara ubbidisce e lascia cadere la gonna ai sui piedi. Marco si avvicina con la corda e gliela lega in vita, abbastanza stretta. Da dietro, poi, la passa in mezzo alle sue cosce e la tira su da davanti, fino a legarla alla parte che gira intorno alla vita. Marco, prima di fermarla, inizia a tirarle con decisione, con la corda che si insinua tra le labbra della fica di Chiara. Marco da un occhiata alla posizione della corda, la allenta e fa un nodo in una posizione ben precisa, quindi la tira di nuovo e la ferma. Ora Chiara si trova la corda legata stretta tutta sparita dentro alla sua fica, ma soprattutto si trova il nodo perfettamente in corrispondenza del clitoride. La presenza della corda le fa provare sensazioni nuove ed estremamente contrastanti: fastidio, eccitazione, stimolazione continua ai limiti del dolore.
“Rimettiti la gonna” le ordina con il solito fare distaccato e brusco Marco.
Senza spiegazioni la prende per un braccio e le intima: “Usciamo”. Come “usciamo”, Chiara sprofonda in un mare di stupore e vergogna, già ha capito dove il gioco di Marco questa volta andrà a parare. Lei è vestita con una gonna cortissima, con le autoreggenti la cui fine è molto sotto al limite della gonna, con una maglietta attillata e sottile che lascia immaginare veramente tutto. E tutto questo ora verrà mostrato al mondo che è fuori. Inizia la passeggiata e Marco dice a Chiara: “Vai avanti da sola, vediamo come te la cavi”. Camminare con quella corda piantata nella fica per Chiara è una vera tortura. La corda si muove ad ogni passo e le fa strusciare con forza il nodo sul clitoride, facendole male, ma anche eccitandola moltissimo. 
La sua fica è un vero lago di umori, al punto che Chiara teme che qualcosa le possa gocciolare lungo le cosce. Ma la corda fa da pannolino, assorbe gli umori e diventa sempre meno aggressiva. Insomma, il fastidio si sta tramutando in un massaggio continuo e vigoroso alla fica e al clitoride. Anche solo a camminare lentamente Chiara inizia a sentire il piacere crescerle dentro. Solo che non lo può far vedere, visto che sta camminando in mezzo alla folla. Ad un certo punto non ce la fa più, l’orgasmo è ormai vicino e si deve fermare e reggere a un palo. Un ragazzo la vede turbata, con il viso sudato, e le si avvicina per chiederle se si sente bene. Chiara farfuglia che va tutto bene e che non deve preoccuparsi. Ma proprio in quel momento l’orgasmo esplode e Chiara non può proprio nasconderlo. Il ragazzo capisce la situazione e cambia atteggiamento. Blocca Chiara contro il palo e rapidamente solleva un lembo della gonna. Così vede come è conciata sotto Chiara e le dice: “Lo avevo capito che eri una troia in calore, ma mai avrei immaginato fino a che punto”. I passanti in qualche modo si accorgono della cosa e qualcuno comincia a fermarsi. Marco allora interviene, si avvicina a Chiara, riprende in mano la situazione e manda via il ragazzo. Poi dice a Chiara: “vieni con me che il divertimento è appena iniziato”. 
La prossima tappa Marco decide che deve essere effettuata in un negozio di scarpe. “Vedi quella commessa?” dice Marco a Chiara, indicando una ragazza molto carina “vai da lei e chiedile di farti provare 3 o 4 tipi diversi di scarpe”. Chiara muore dalla vergogna. Già ha capito che quando si siederà a provare le scarpe, la ragazza non potrà non accorgersi del suo segreto. Chiara entra nel negozio, si avvicina alla commessa e le chiede di farle provare dei sandali che ha visto in vetrina. Intanto tutti gli occhi dei presenti nel negozio sono puntati su di lei e i commenti su come è vestita si sprecano. La commessa arriva e Chiara, con grande vergogna, si siede per farsi infilare i sandali ai piedi. Cerca di tenere le cosce strette, ma la posizione, con la ragazza inginocchiata davanti che le guarda tra le gambe dal basso, non le permette di nascondere la presenza della corda e l’assenza delle mutande per troppo tempo. 
Quando se ne accorge, la commessa guarda Chiara fissa negli occhi, cosa che la fa arrossire ancora di più. La ragazza capisce che Chiara è una persona di indole sottomessa e che probabilmente sta facendo un gioco con qualcuno che spia le sue reazioni. Si guarda intorno e nota subito un uomo in disparte con l’aria soddisfatta che si gusta per bene tutta la scena. Capisce che è in ballo un rapporto schiava/padrone e si avvicina a Marco. “Quella è la tua schiava?” chiede, saltando ogni preliminare. “Si – risponde Marco – brava, vedo che hai capito subito tutta la situazione”. “Venite con me, seguitemi, vi porto in un posto dove poter giocare con più calma” dice la commessa, spiazzando perfino Marco.
Si riavvicinano entrambi a Chiara e Marco le ordina di seguire la commessa. Lei li conduce entrambi in una camera nel retrobottega e, una volta entrati, chiude la porta dietro di sé a chiave. “Allora, puttanella, ti piace mostrare in giro quanto sei troia, vero? Adesso però vediamo se sei veramente la puttana che credi di essere”. Chiara ha un po’ paura della situazione e della reazione della commessa, ma la presenza di Marco la rassicura. 
La commessa si avvicina a Chiara e, senza neanche darle il tempo di capire cosa stia succedendo, le lega le braccia ad una struttura della scaffalatura che corre lungo la parete. Chiara si trova con le braccia immobilizzate e ben presto anche le gambe le vengono legate, ma solo dopo avergliele divaricate al massimo consentito dalla posizione. Chiara si sente perduta, legata con le gambe larghe in una stanza chiusa a chiave da una donna che lei neanche conosce. La commessa armeggia con degli spaghi di canapa, che lega tra loro fino a formare una specie di frustino, un frustino che quando viene agitato in aria emette fischi che gettano Chiara nel panico più totale. “Cosa mi vuoi fare, ma sei matta: Marco per favore dille di smettere e andiamo via”. “Neanche per sogno bella mia – risponde Marco – questo gioco sta iniziando a piacermi perfino più di quello di prima. Quindi andiamo avanti che sono curioso di vedere fin dove si arriva”. 
La commessa si avvicina a Chiara e le alza la gonna fin sopra la vita, poi con un gesto tanto rapido quanto inaspettato le strappa la maglietta in modo da farle uscite le tette di fuori. Chiara non riesce a trattenere un urlo, ma subito la commessa le chiude la bocca con la mano e la minaccia: “Se provi ad urlare un’altra volta ti spacco la testa”. Chiara è in preda al terrore, non si era mai trovata in una simile situazione. La commessa si avvicina a Chiara con la frusta artigianale in mano e con l’altra mano le afferra la corda che è inflitta nelle sue carni. Comincia a strattonare la corda, a tirarla verso l’altro e alternativamente a destra e a sinistra. 
Chiara mugola per il dolore, anche perché il suo clitoride ormai è gonfio e duro da moltissimo tempo. Ugualmente, però, è anche eccitata dalla situazione e questo trattamento la sta facendo di nuovo bagnare copiosamente. La commessa si rende benissimo conto della cosa e dice: “Guarda questa puttana come gode a farsi maltrattare la fica. Ora vediamo se anche questo le piace”. Si allontana leggermente e con movimenti rapidi e secchi del polso le inizia a frustare la fica dal basso verso l’alto. Ad ogni colpo Chiara sente la sua micina bruciare fortissimo, cerca di divincolarsi e di sfuggire a quei colpi, ma la commessa sembra avere una mira infallibile e ogni colpo va perfettamente a segno. 
Dopo un attimo la commessa smette di frustare Chiara e le si avvicina con fare più gentile e affettuoso e comincia a carezzarla e a penetrarla delicatamente con un dito. Nel fare questo sposta la corda, che ancora una volta passa sul clitoride, dando a Chiara sensazioni fortissime. Un gemito sottolinea quanto lei abbia sentito quel gesto. Le carezze della ragazza sono molto piacevoli e le danno un momento di grande sollievo dopo la presenza ossessiva della corda e il dolore delle frustate. La commessa sa benissimo come muovere le mani e in breve porta Chiara sull’orlo dell’orgasmo. “Dimmi che sei la mia troia – le sussurra la commessa – e io ti faccio godere e soffrire come mai hai provato nella tua vita”. 
Chiara è svuotata di ogni forza, ora tutto quello che vuole è solo ed esclusivamente godere: “Si sono la tua troia, violentami, torturami, voglio che mi fai tutto quello che vuoi, ma ora fammi godere ti prego”. Neanche finisce di pronunciare quella frase, che la commessa le prende il clitoride tra indice e pollice e glielo strizza. Chiara ha un sussulto e per l’ennesima volta un lungo gemito e mugolio le esce dalla bocca. La commessa non solo stringe con forza il clitoride, ma comincia anche a tirarlo a destra e a sinistra, allungandoglielo oltre ogni immaginazione. 
Chiara ha un turbinio di sensazioni che la stanno facendo uscire di testa: dolore, piacere, paura, coinvolgimento e soprattutto questa tortura che la fa eccitare sempre di più. In un attimo raggiunge un orgasmo stravolgente, il più forte mai raggiunto in vita sua e dalla sua fica parte un getto di umori quasi fosse una pisciata. Questo cosa non le era mai successa e la lascia decisamente sorpresa. “Ma brava la mia puttanella, dall’espressione sul tuo viso vedo che te la sei goduta e anche che non avevi mai avuto uno squirting prima. Ci vogliono sensazioni forti per arrivare a eiaculare come hai fatto tu. Ma vedrai che non sarà né la prima, né l’ultima volta oggi” le dice beffarda la commessa. 
Chiara è stremata e tutta sudata e quasi non si accorge del fatto che la commessa si è allontanata un attimo da lei per vagare nella stanza dove sono chiusi. Quando torna porta una manciata di cose che Chiara in quel momento neanche focalizza bene. La commessa le da uno schiaffo in faccia e la fa tornare sveglia e presente a sé stessa. “Ora vedrai cosa ho in serbo per te bella troia mia”. In mano ha due mollette da bucato e subito la commessa si china e le comincia a succhiare e leccare i capezzoli. 
Con lo stato di eccitazione raggiunto, i capezzoli sono lunghi e duri come mai prima nella vita di Chiara, ma la stimolazione orale della commessa se possibile li fanno ancora più gonfiare. In un attimo, però, lei smette di succhiare e leccare e piazza entrambe le mollette sui capezzoli. Chiara di nuovo non riesce a trattenere un urlo, più per la sorpresa che per il dolore. E’ abituata ai trattamenti rudi di Marco anche sui capezzoli e quindi la morsa delle mollette non è poi così devastante. Anzi, il tutta quella situazione in breve comincia a godere anche per questo nuovo supplizio, comincia a mugolare e il suo bacino non riesce a stare fermo. “Vi prego scopatemi, ho la fica in fiamme, non ce la faccio più” supplica Chiara. Ma la commessa si presenta con il mano una grossa candela, lunga circa 25 cm e larghissima. 
La candela scompare in un attimo dalla vista di Chiara, per sentirsela immediatamente puntare contro la fica. A fatica la commessa spinge la candela tutta dentro e inizia a pompare, prima lentamente, poi con maggiore vigore. Chiara si sente squartata da quell’oggetto che invade le sue viscere, ma anche questa volta il piacere prende ben presto il sopravvento sul dolore. Ma appena comincia veramente a godersi quell’oggetto nella fica, un’altra candela compare nella mano della commessa, questa volta leggermente più piccola, ma neanche tanto in verità. In un attimo questa volta a subire un attacco è il suo buco di dietro. “No ti prego, lì no” supplica Chiara, ma la sua voce è ben poco convinta. 
Lentamente anche la seconda candela si fa strada nelle carni di Chiara, che ormai tiene le cosce oscenamente aperte, molto più di quanto la posizione le permetterebbe di mantenere se solo volesse rendere più difficile il compito alla ragazza che la sta torturando. La commessa inizia a pompare con entrambe le candele in modo alternato, quando una esce l’altra entra. Chiara entra in una fase orgasmica continuata, in cui non esiste un solo picco, ma con il godimento che si mantiene elevato e costante per svariati minuti. Anche in questo caso è una situazione del tutto nuova, che non aveva mai provato prima. 
Il suo corpo sembra reagire in modo inedito a questa che è una situazione inedita. Finora, infatti, anche i giochi perversi di Marco non si erano mai spinti così in avanti. La commessa smette di pompare con le candele, ma le lascia ben piantate nella fica e nel culo di Chiara e inizia invece a tirare alternativamente le mollette. stirandole all’inverosimile i capezzoli. Questi sono sensibilissimi e il trattamento le procura dolore, ma anche fortissima eccitazione. A Chiara è sempre piaciuto farsi maltrattare i capezzoli, ma fino a questo punto nessuno si era mai spinto. Poi la commessa ha una nuova idea anche lei. 
Smette per un attimo di giocare con i capezzoli e si inginocchia davanti a Chiara. Pur non riuscendo a vedere bene quello che la ragazza fa, Chiara sente immediatamente che la lingua di lei che le si arrotola sul clitoride. In brevissimo tempo, per una seconda volta, viene spruzzando umori dalla fica. La commessa ride e beve, schernendola di nuovo su quanto sia facile far godere così una puttana come lei. Poi le mette una molletta dritta dritta sul clitoride, che ormai è gonfissimo e quasi del tutto uscito dal suo cappuccio naturale. La molletta lo pinza con violenza e trasmette una scossa di dolore direttamente al cervello di Chiara. 
A quel punto la commessa leva le candele dalla fica di Chiara e ne accende una. Aspetta un attimo che la candela si scaldi e che la cera si sciolga, le toglie le mollette dalle tette e poi le versa la cera bollente sui capezzoli. Anche questa è per Chiara una sensazione nuova. I capezzoli sono sensibilissimi ed eccitati e il calore della cera viene avvertito molto più di quanto sia lecito immaginare. Ma ormai Chiara è entrata in una fase in cui il suo corpo reagisce in modo totalmente differente da quanto immaginabile. Le torture e il dolore la eccitano e la fanno godere come mai lei avrebbe ipotizzato anche nei suoi sogni più sconci. Anzi, la sensazione è quella di essere fuori dal suo corpo e di eccitarsi quasi solo a vedere lei stessa legata, con degli oggetti piantati nella fica, con le mollette strette a tormentarle le parti più sensibili e il tutto con la consapevolezza di sapere che la cosa invece di schifarla e darle dolore, la eccita e la fa godere come una cagna. 
La cera bollente, anche se solo versata sui capezzoli porta di nuovo Chiara sull’orlo di un orgasmo. “Versami la cera sulla fica, ti prego” questa frase esce dalla bocca di Chiara quasi stupendo lei stessa che l’ha pronunciata. La commessa non se lo fa ripetere due volte e chieda a Marco di darle una mano. Marco slega le gambe di Chiara, la prende per la vita e la alza, in modo da far protendere il bacino in avanti, inoltre le tiene le gambe in alto e aperte, così da avere la fica pronta alla doccia bollente. La cera cade tra le labbra e bacia il clitoride, facendo gemere e inarcare Chiara. Ma Marco la tiene ferma, in modo che neanche una goccia di cera manchi il bersaglio. Chiara è stravolta, è tutta imperlata di sudore, ha già goduto alcune volte con una violenza mai provata prima e ora questa nuova situazione la sta di nuovo portando all’apice. Capisce che più viene violata, più cresce il livello delle torture subite e più il suo corpo chiede sensazioni forti. Non serve neanche che le tocchino il clitoride, ora. Chiara viene di nuovo con un urlo strozzato e per la terza volta la sua fica emette un violento fiotto di umori.
Lentamente Marco e la commessa la aiutano a tenersi in piedi mentre la slegano, perché ormai le gambe non la sorreggono più. La commessa mostra a Marco come arrivare con l’auto ad una stradina sul retro del negozio e, mentre Marco va a prendere la macchina, coccola Chiara, la carezza e la bacia: “Brava la mia puttanella, sei stata molto più brava di quanto mi sarei aspettata. Vedrai che ci rivedremo presto, Marco già mi ha chiesto il telefono per un’altro incontro a tre”.

I miei rapporti con Kaori si stavano sfilacciando purtroppo. Da luglio, non avendo girato più filmini a Londra, non avevo avuto più occasione di farmi truccare da lei e anche quelle deliziose sedute di 'Total body care' erano diventate ............


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Londra, martedì 9 dicembre 2008
Gli ultimi mesi di lavoro erano stati allucinanti! I viaggi fra una sede e l'altra dell'organizzazione si erano fatti frenetici e io mi sentivo come una pallina da tennis palleggiata da invisibili giocatori posti di qua e di là dell'Atlantico. Gli ultimi videos per la L.M.S. erano stati quelli di luglio, perché i successivi erano stati girati in tutte le altre sedi dell'organizzazione. All'agenzia di Wembley dovevo comunque recarmi tutte le volte che rincasavo in Gran Bretagna, perché Jane Toleman continuava a essere la mia referente: lei mi dirigeva, programmava i miei lavori presso altre sedi, prenotava alberghi e voli; inoltre versava le mie spettanze sul mio conto corrente. Era pur vero che da alcuni mesi io non le fruttavo più tanto in termini di DVD prodotti e venduti, ma la sua agenzia e lei non avevano motivi di cui lamentarsi, perché incassavano come compenso del mio lavoro i lauti bonifici dalle altre agenzie consociate.
I miei rapporti con Kaori si stavano sfilacciando purtroppo. Da luglio, non avendo girato più filmini a Londra, non avevo avuto più occasione di farmi truccare da lei e anche quelle deliziose sedute di 'Total body care' erano diventate un ben lontano ricordo. Vedevo quell'amica dagli occhi a mandorla soltanto da lontano mentre mi trovavo nell'ufficio di Jane, e lei passava nel salone, sempre perfetta nel suo immacolato camice, avvolta in quel suo alone di mistero, seguita dagli sguardi curiosi degli operatori e da quelli invidiosi delle modelle. L'ultima volta che avevo avuto occasione di vederla da lontano, i nostri sguardi si erano incrociati e avevo avuto la percezione che i suoi occhi orientali mi indirizzassero un muto rimprovero, che avevo colto nettamente a più di quindici yarde di distanza.
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Quella sera avevo mangiato qualcosa al vicino fast-food insieme a Erica, muta lei nei suoi pensieri e muta io nei miei. Risalite al nostro appartamento, avevamo tentato di rimanere un poco insieme davanti a un vecchio film in TV: proiettavano 'Pretty woman'. Su una delle scene più caratteristiche fra Julia Robert e Richard Gere, avevo avuto come un impulso improvviso, e avevo esclamato alla mia amica: "Esco Erica! Non aspettarmi perché forse passerò la notte fuori!". Avevo cercato di parlarle con tono di voce neutro, ma forse non ci ero riuscita e le mie parole erano state più ruvide delle intenzioni. La biondina si era girata verso di me e mi aveva guardato triste: "Vai da Kaori?". Le avevo restituito lo sguardo, ma le parole non erano uscite. E lei aveva aggiunto: "Ricorda, Jana: quando ti deciderai finalmente a fare l'amore con una donna ... vorrei essere io quella donna!". Non riuscivo a comprendere se si fosse trattato di una promessa o di una minaccia. Mi ero messa la giacca a vento sopra uno spesso maglione di lana, perché fuori il freddo era pungente. "Me ne ricorderò, Erica!", le avevo sorriso commossa e, prima di uscire, l'avevo abbracciata, l'avevo attirata verso di me e le avevo dato un bacio intenso come non succedeva da molto tempo.
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Non era stato facile arrivare allo stabile dove abitava Kaori, perché in strada avevo trovato la neve alta e le mie calzature non erano le più adatte. Arrivata all'ingresso, avevo premuto il pulsante con la scritta "Mrs. K. Frazier". "Chi è?", mi era stato risposto dal citofono. "Sono io, sono Jana! Posso salire da te?". Mi rendevo conto che l'orario era abbastanza inusuale, perché il mio orologio segnava le 23:15.
La risposta aveva tardato un poco a venire, e poi: "Veramente ...", avevo udito dall'apparecchio. Poi avevo avuto un pensiero improvviso e certamente tardivo: forse l'avevo messa in imbarazzo perché c'era qualcuno da lei. Forse c'era in casa lo stesso Mr. Frazier ...
La voce dal citofono aveva ripreso dopo un istante di silenzio: "Sali pure!", e aveva aggiunto con ironia, alludendo al fatto che non andavo a trovarla da tanto tempo: "Scala D, terzo piano!". Questa volta io non avevo nessuna pretesa di essere elegante, oltretutto ero inzaccherata e, una volta entrata, le avevo orrendamente sporcato l'impeccabile tatami all'ingresso con neve e fango. Ma non mi aveva rimproverato: credo che rimproverare l'ospite sarebbe stato contrario al suo spiccato senso dell'ospitalità.
"Scusa l'orario e scusa la mia imperdonabile maleducazione, Kaori, ma avevo un bisogno urgente di vederti e parlarti."
Secondo il suo stile, mi aveva prontamente scusato e sorriso e, resasi conto delle mie deplorevoli condizioni, si era data subito da fare per procurarmi abiti asciutti da cambiare. Due minuti dopo mi aveva portato un finissimo kimono verde decorato con fiori di loto. Poi mi aveva offerto il the e dopo il the avevamo parlato fino a ora tarda. Sarebbe forse più esatto dire che le mie parole erano straripate come un fiume in piena, mentre la mia amica mi ascoltava, aggiungendo a volte commenti o consigli frutto della sua saggezza. Poi, quando io mi ero fermata ed ero rimasta per più di due minuti senza aggiungere altro, mi aveva chiesto se volevo passare lì da lei quello che rimaneva ancora della notte. Era ciò che speravo e lei aveva previsto già la risposta positiva. Allora si era alzata, era andata all'armadio e aveva estratto un futon: uno solo!
Ci eravamo infilate nude sotto la trapunta e ci eravamo abbracciate strette, con le braccia e le gambe a cercare frenetiche le morbide membra dell'altra. Il suo corpo emanava profumo di rose, il mio invece ... un profumo molto meno gradevole, cioè quello del sudore. Ma neppure questo mi era stato rimproverato da lei.
Mi aveva preso un'eccitazione febbrile e le mie mani avevano cominciato a prendersi molte libertà, prima con quei suoi seni che, fin dalla prima volta che li avevo visti, mi erano sembrati appetitosi come frutti maturi, ma poi, mentre anche lei ricambiava più quietamente le mie carezze, sembrava che i suoi seni non bastassero più a saziarmi. La mia mano destra aveva cominciato ad insinuarsi là a cercare ...
Mi ero fermata però all'improvviso, al pensiero di un'altra donna che mi aveva detto, solo poche ore prima, che se mi fossi decisa finalmente a superare la soglia dell'amore gay, avrebbe voluto che fosse insieme a lei ... Ma poi quella mia febbre aveva avuto il sopravvento e la mano aveva ripreso a scendere fino a quando aveva avuto un'altra esitazione, quando cioè era emerso un altro dubbio: "Ora Kaori mi fermerà ... Mi aveva già detto un'altra volta che 'questo non si poteva fare'!".
Ora invece Kaori mi aveva permesso tutto quanto era nei desideri miei. E suoi.
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Mi ero destata la mattina a ora tarda: erano le dieci!!! Ed ero sola in casa! L'amica era già andata al lavoro all'agenzia, ma prima di andarsene mi aveva preparato la colazione. Per uscire di casa, inoltre, sapevo che non avrei avuto problemi: bastava che chiudessi dietro di me la porta dell'appartamento con la serratura a scatto.
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Anch'io dovevo andare alla L.M.S. per sistemare alcune questioni relative alla mia prossima
trasferta, ma, una volta arrivata, avevo visto che la Toleman era occupata con una nuova modella ungherese. E, nell'attesa, ne avevo approfittato per precipitarmi allo studio dell'amica truccatrice-massaggiatrice, per riassaporare con lei la notte passata insieme. Quando avevo bussato, Kaori mi aveva aperto e appena mi aveva visto mi aveva regalato uno dei suoi sorrisi più belli. Mi sembrava che anche lei avesse in viso le dolci tracce dell'amore notturno!
Ancora, come la notte, ero stata un fiume di parole, ma tanto quelle di allora erano state tristi, tanto quelle di adesso erano invece liete come quelle di chi è felice e sa di parlare a chi lo comprende. Ma più parlavo, più mi accorgevo che il bel viso orientale di Kaori si faceva triste, e sui suoi occhi stava calando un velo oscuro.
"Ma cosa dici, Jana? Che noi due abbiamo fatto l'amore? Ma certo che no! Noi non abbiamo mai fatto l'amore né questa notte, né mai!". E siccome io, incredula, avevo insistito, perché non era possibile che non ricordasse, lei aveva ripreso, sempre più inquieta: "Ma no, Jana, questo non sarebbe nemmeno possibile!".
Cominciavo ad avere dubbi sulla salute mentale sua ... oppure sulla mia. Lei continuava tanto più a negare quanto più io insistevo ad affermare.
"Ma Jana," - adesso la sua voce denunciava che Kaori era arrivata al limite delle lacrime - "... Jana, tu non ricordi forse che io sono una donna sposata! Forse tu non sai, ma io sono anche stirpe di 'samurai'. Mio nonno, Saburo Ioshida, era secondo ufficiale dell'incrociatore Sendai quando è stato affondato insieme alla corazzata Jamato nella battaglia navale di Okinawa.".
Con pazienza, mi aveva fatto accomodare sulla sedia, mentre lei si sedeva sul piano della sua scrivania, e aveva iniziato a spiegare una piccola pagina di storia patria e famigliare. Quella di Okinawa, il 7 aprile 1945, era stata l'ultima tragica battaglia della Marina Imperiale Giapponese: le poche navi superstiti della grande flotta erano state inviate a contrastare lo sbarco americano. Era una missione dichiaratamente suicida e solo così la Marina Imperiale poteva scontare il disonore di non essere stata in grado di difendere dal nemico il suolo nazionale e la sacra persona dell'Imperatore. "Tornando a noi, Jana, - aveva ribadito alzandosi dalla scrivania - "Io sono stirpe di samurai e quindi samurai io stessa.". La sua persona, non alta di statura, sembrava stesse crescendo davanti a me; guardavo il suo bel viso fiero e avevo l'impressione che Kaori-san stesse diventando un gigante.
"Se io questa notte fossi stata infedele a mio marito - tu non ti rendi neppure conto cosa significhi l'onore per una samurai - io avrei disonorato mio marito e me stessa.". Cominciavo a capire qualcosa. Ma Kaori aveva ancora altro da aggiungere, e l'aveva espresso con forza: "Dovrei fare 'Seppuku'!"
Infine, con un filo di voce, mi aveva chiesto: "Lo sai, Jana cara, cosa significa?!". Sapevo che si trattava del suicidio rituale ed era fin troppo evidente che non potevo insistere oltre. Anche se non potevo credere di essermi sbagliata.
Avevo annuito alla sua domanda e mi ero costretta a mentire: "Certamente hai ragione tu, Kaori. Non so come posso avere pensato una cosa simile!".
Mi aveva messo un braccio intorno alle spalle, tenera e comprensiva: "Carissima Jana, lo sai che ti voglio bene.". E poi aveva aggiunto: "Il tuo deve essere stato certamente un sogno. Un bellissimo sogno!" Mentre mi fissava con quei suoi dolci occhi a mandorla, attraversando i miei occhi fino in fondo all'anima, il suo sorriso cambiava sfumatura, alternativamente dolce e triste, mentre sussurrava con un tenuissimo filo di voce: "Devo confessarti, Jana, che anch'io questa notte ho fatto lo stesso sogno.".

Aveva concluso con il suo volto tanto grazioso velato di tristezza: "Ma era soltanto un bellissimo sogno!". E io le avevo fatto eco: "Proprio uno splendido sogno!".
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Parcheggiamo la macchina.Le nuvole corrono nel cielo ed il sole va e viene.Il caldo rimane stabile e gratificante.Il sentiero che inoltra il bosco...il bosco di querce di cipressi di pini marittimi e di tanti ciuffi di gialla ginestra sale leggermente ...
Parcheggiamo la macchina.
Le nuvole corrono nel cielo ed il sole va e viene.
Il caldo rimane stabile e gratificante.
Il sentiero che inoltra il bosco...
il bosco di querce di cipressi di pini marittimi e di tanti ciuffi di gialla ginestra sale leggermente inoltrandolo.
I bambini sono eccitati dall'idea di penetrarlo.
La loro curiosità e le loro aspettative sull'incontrare selvagge vite e flora sconosciuta stanno allo zenit.
Ecco...
da qui in poi credo possa andare dico dopo una ventina di minuti camminanti.
Non si vede anima viva.
Spogliamoci nudi.
Poniamo i vestiti negli zaini e...
e mostriamoci come veramente siamo fatti.
Wow!
L'ombra è ancora più fresca.
E la foglia sfiorando ti passa un brivido.
Il virgulto toccandoti la spoglia gamba quasi ti parla.
E gli alberi ed i rami si differenziano fra loro non solamente alla vista ma anche alla ruvidità o tenerezza.
La piccola lucertola intanto sembra meno spaventata del solito nell'incontrarci.
E pure il nero serpentello non scappa lesto anello in spalla.
Pare che in tal modo messi gli elementi accolgano sereni ed accettino con minor diffidenza.
Tutti a parte...
a parte l'acqua del minuscolo rio che invece vuole diventare ancora più fredda al guardarla o al contattarla.
I miei pori però nel frattempo sembrano essersi aperti e godono a dismisura.
Gli odori gli aromi i profumi non entrano unicamente dal naso ora.
E pertanto...
pertanto invadono il corpo intero rendendogli armoniosità.
I movimenti stessi diventano allora "oltre" fluidi e meno invasivi e...
et voilà laggiù in una radura dei cinghiali.
Ci hanno visto loro per primi chiaramente e non sembrano per nulla disturbati dal nostro arrivo... anzi continuano i grugniti loro senza badarci quando noi... dopo essere stai attenti a non provocarli... riprendiamo il bosco.
Che bellezza.
La brezza che s'infila sotto le braccia.
Il venticello che esplora fra le cosce.
L'alito di maestrale che massaggia i glutei.
Ed ancora avanti ad immergersi "subacquei" nell'aria che sa di pigne e resina.
Oh oh bambini venite qui presto c'è un uomo che viene incontro.
Dai nascondiamoci e fermi immobili manco un respiro si deve sentire che altrimenti... qualora ci vedesse in tale stato... apriti cielo.
E giù appiattiti con il cuore che pulsa a mille e gli occhi vigili nel tenerlo sotto controllo.
Una scarica d'adrenalina incredibile ed una volta scampato il pericolo una liberazione.
Visto?
E capito le sensazioni d'un animale nell'incontrarci?
Lui sa che per il semplice motivo d'andare in giro quale dio ha creato si viene considerati amenità senza senso e morale da quell'essere che con un paio di mutande si sente superiore e che quindi fa una paura bestiale ma... urca... un branco di cervi sta arrivando di corsa giù dal crinale e...
e non appena ci notano il capo branco s'arresta immobile.
Al solito cercando il mimetismo e proteggendo i piccoli.
Se non che i miei di piccoli non resistono e si muovono verso di loro rapiti di per cui io ed il mio amore rimaniamo da soli.
Adamo ed Eva attuali ed un minimo matti diremo.
Ed una farfalla gialla gialla si mette a fare la spola interessata fra i suoi due capezzoli strappandoci un sorriso.
Ed un verde verde bruchetto scala e scende fra i peli del mio pube e da lì al mostrarci armonia in faccia ed allo scambiare dei teneri bacetti complici il passo è breve.
Brevissimo.
Solo la situazione è talmente gratificante che in un baleno ci ritroviamo entrambi coinvolti e pronti e...
ed il balzo al dover fare l'amore indi cade fatale e maturo.
Tanto i bambini sono occupati e questa ginestra esuberante funziona benissimo da salva sguardo.
La dolcezza che provocano queste situazioni nel fare l'amore è qualcosa d'unico ed universale.
Il ritmo l'impone la folata che scuote le chiome.
L'intensità viene modulata dall'umore che la terra sparge copioso.
Il gemito è sostituito dal coro di cinguettii ed altri suoni forestali.
E l'arrivo...
l'arrivo è sottolineato dal grido del falco che dall'alto sorveglia tutto.
Un'apoteosi.
Raramente m'è capitato un simile piacere.
Raramente mi sono sentito d'aver donato un orgasmo indimenticabile.
E raramente una sensazione tal piena viene innalzata al cielo di volo improvviso del fagiano nel cespuglio spaventato dai nostri eroi che tornano.
Mamma mamma!
Papà papà!
C'erano i bambi e la loro mamma li allattava senza scomporsi accanto a noi.
Incredibile cari genitori.
Andiamo...
andiamo nudi anche al ristorante stasera!
Ah sì?
E per quale motivo?
Ovvio... "oramai" sappiamo che in quel caso il cameriere porterà cibi buonissimi.
Che non faranno schifo neppure le verdure.
E che il cassiere non imporrà di pagare niente.
E c'emozionerà regalandoci dolcezze esattamente...
esattamente pari a quel che succede qui.
Non capite mai niente voi grandi.
È perché andiamo vestiti che costa tanti soldi e...
ed i cibi non hanno valori.
È...
perché...
andiamo...
vestiti.

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