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È stato amore? No! Soltanto un sogno!

I miei rapporti con Kaori si stavano sfilacciando purtroppo. Da luglio, non avendo girato più filmini a Londra, non avevo avuto più occasione di farmi truccare da lei e anche quelle deliziose sedute di 'Total body care' erano diventate ............


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Londra, martedì 9 dicembre 2008
Gli ultimi mesi di lavoro erano stati allucinanti! I viaggi fra una sede e l'altra dell'organizzazione si erano fatti frenetici e io mi sentivo come una pallina da tennis palleggiata da invisibili giocatori posti di qua e di là dell'Atlantico. Gli ultimi videos per la L.M.S. erano stati quelli di luglio, perché i successivi erano stati girati in tutte le altre sedi dell'organizzazione. All'agenzia di Wembley dovevo comunque recarmi tutte le volte che rincasavo in Gran Bretagna, perché Jane Toleman continuava a essere la mia referente: lei mi dirigeva, programmava i miei lavori presso altre sedi, prenotava alberghi e voli; inoltre versava le mie spettanze sul mio conto corrente. Era pur vero che da alcuni mesi io non le fruttavo più tanto in termini di DVD prodotti e venduti, ma la sua agenzia e lei non avevano motivi di cui lamentarsi, perché incassavano come compenso del mio lavoro i lauti bonifici dalle altre agenzie consociate.
I miei rapporti con Kaori si stavano sfilacciando purtroppo. Da luglio, non avendo girato più filmini a Londra, non avevo avuto più occasione di farmi truccare da lei e anche quelle deliziose sedute di 'Total body care' erano diventate un ben lontano ricordo. Vedevo quell'amica dagli occhi a mandorla soltanto da lontano mentre mi trovavo nell'ufficio di Jane, e lei passava nel salone, sempre perfetta nel suo immacolato camice, avvolta in quel suo alone di mistero, seguita dagli sguardi curiosi degli operatori e da quelli invidiosi delle modelle. L'ultima volta che avevo avuto occasione di vederla da lontano, i nostri sguardi si erano incrociati e avevo avuto la percezione che i suoi occhi orientali mi indirizzassero un muto rimprovero, che avevo colto nettamente a più di quindici yarde di distanza.
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Quella sera avevo mangiato qualcosa al vicino fast-food insieme a Erica, muta lei nei suoi pensieri e muta io nei miei. Risalite al nostro appartamento, avevamo tentato di rimanere un poco insieme davanti a un vecchio film in TV: proiettavano 'Pretty woman'. Su una delle scene più caratteristiche fra Julia Robert e Richard Gere, avevo avuto come un impulso improvviso, e avevo esclamato alla mia amica: "Esco Erica! Non aspettarmi perché forse passerò la notte fuori!". Avevo cercato di parlarle con tono di voce neutro, ma forse non ci ero riuscita e le mie parole erano state più ruvide delle intenzioni. La biondina si era girata verso di me e mi aveva guardato triste: "Vai da Kaori?". Le avevo restituito lo sguardo, ma le parole non erano uscite. E lei aveva aggiunto: "Ricorda, Jana: quando ti deciderai finalmente a fare l'amore con una donna ... vorrei essere io quella donna!". Non riuscivo a comprendere se si fosse trattato di una promessa o di una minaccia. Mi ero messa la giacca a vento sopra uno spesso maglione di lana, perché fuori il freddo era pungente. "Me ne ricorderò, Erica!", le avevo sorriso commossa e, prima di uscire, l'avevo abbracciata, l'avevo attirata verso di me e le avevo dato un bacio intenso come non succedeva da molto tempo.
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Non era stato facile arrivare allo stabile dove abitava Kaori, perché in strada avevo trovato la neve alta e le mie calzature non erano le più adatte. Arrivata all'ingresso, avevo premuto il pulsante con la scritta "Mrs. K. Frazier". "Chi è?", mi era stato risposto dal citofono. "Sono io, sono Jana! Posso salire da te?". Mi rendevo conto che l'orario era abbastanza inusuale, perché il mio orologio segnava le 23:15.
La risposta aveva tardato un poco a venire, e poi: "Veramente ...", avevo udito dall'apparecchio. Poi avevo avuto un pensiero improvviso e certamente tardivo: forse l'avevo messa in imbarazzo perché c'era qualcuno da lei. Forse c'era in casa lo stesso Mr. Frazier ...
La voce dal citofono aveva ripreso dopo un istante di silenzio: "Sali pure!", e aveva aggiunto con ironia, alludendo al fatto che non andavo a trovarla da tanto tempo: "Scala D, terzo piano!". Questa volta io non avevo nessuna pretesa di essere elegante, oltretutto ero inzaccherata e, una volta entrata, le avevo orrendamente sporcato l'impeccabile tatami all'ingresso con neve e fango. Ma non mi aveva rimproverato: credo che rimproverare l'ospite sarebbe stato contrario al suo spiccato senso dell'ospitalità.
"Scusa l'orario e scusa la mia imperdonabile maleducazione, Kaori, ma avevo un bisogno urgente di vederti e parlarti."
Secondo il suo stile, mi aveva prontamente scusato e sorriso e, resasi conto delle mie deplorevoli condizioni, si era data subito da fare per procurarmi abiti asciutti da cambiare. Due minuti dopo mi aveva portato un finissimo kimono verde decorato con fiori di loto. Poi mi aveva offerto il the e dopo il the avevamo parlato fino a ora tarda. Sarebbe forse più esatto dire che le mie parole erano straripate come un fiume in piena, mentre la mia amica mi ascoltava, aggiungendo a volte commenti o consigli frutto della sua saggezza. Poi, quando io mi ero fermata ed ero rimasta per più di due minuti senza aggiungere altro, mi aveva chiesto se volevo passare lì da lei quello che rimaneva ancora della notte. Era ciò che speravo e lei aveva previsto già la risposta positiva. Allora si era alzata, era andata all'armadio e aveva estratto un futon: uno solo!
Ci eravamo infilate nude sotto la trapunta e ci eravamo abbracciate strette, con le braccia e le gambe a cercare frenetiche le morbide membra dell'altra. Il suo corpo emanava profumo di rose, il mio invece ... un profumo molto meno gradevole, cioè quello del sudore. Ma neppure questo mi era stato rimproverato da lei.
Mi aveva preso un'eccitazione febbrile e le mie mani avevano cominciato a prendersi molte libertà, prima con quei suoi seni che, fin dalla prima volta che li avevo visti, mi erano sembrati appetitosi come frutti maturi, ma poi, mentre anche lei ricambiava più quietamente le mie carezze, sembrava che i suoi seni non bastassero più a saziarmi. La mia mano destra aveva cominciato ad insinuarsi là a cercare ...
Mi ero fermata però all'improvviso, al pensiero di un'altra donna che mi aveva detto, solo poche ore prima, che se mi fossi decisa finalmente a superare la soglia dell'amore gay, avrebbe voluto che fosse insieme a lei ... Ma poi quella mia febbre aveva avuto il sopravvento e la mano aveva ripreso a scendere fino a quando aveva avuto un'altra esitazione, quando cioè era emerso un altro dubbio: "Ora Kaori mi fermerà ... Mi aveva già detto un'altra volta che 'questo non si poteva fare'!".
Ora invece Kaori mi aveva permesso tutto quanto era nei desideri miei. E suoi.
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Mi ero destata la mattina a ora tarda: erano le dieci!!! Ed ero sola in casa! L'amica era già andata al lavoro all'agenzia, ma prima di andarsene mi aveva preparato la colazione. Per uscire di casa, inoltre, sapevo che non avrei avuto problemi: bastava che chiudessi dietro di me la porta dell'appartamento con la serratura a scatto.
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Anch'io dovevo andare alla L.M.S. per sistemare alcune questioni relative alla mia prossima
trasferta, ma, una volta arrivata, avevo visto che la Toleman era occupata con una nuova modella ungherese. E, nell'attesa, ne avevo approfittato per precipitarmi allo studio dell'amica truccatrice-massaggiatrice, per riassaporare con lei la notte passata insieme. Quando avevo bussato, Kaori mi aveva aperto e appena mi aveva visto mi aveva regalato uno dei suoi sorrisi più belli. Mi sembrava che anche lei avesse in viso le dolci tracce dell'amore notturno!
Ancora, come la notte, ero stata un fiume di parole, ma tanto quelle di allora erano state tristi, tanto quelle di adesso erano invece liete come quelle di chi è felice e sa di parlare a chi lo comprende. Ma più parlavo, più mi accorgevo che il bel viso orientale di Kaori si faceva triste, e sui suoi occhi stava calando un velo oscuro.
"Ma cosa dici, Jana? Che noi due abbiamo fatto l'amore? Ma certo che no! Noi non abbiamo mai fatto l'amore né questa notte, né mai!". E siccome io, incredula, avevo insistito, perché non era possibile che non ricordasse, lei aveva ripreso, sempre più inquieta: "Ma no, Jana, questo non sarebbe nemmeno possibile!".
Cominciavo ad avere dubbi sulla salute mentale sua ... oppure sulla mia. Lei continuava tanto più a negare quanto più io insistevo ad affermare.
"Ma Jana," - adesso la sua voce denunciava che Kaori era arrivata al limite delle lacrime - "... Jana, tu non ricordi forse che io sono una donna sposata! Forse tu non sai, ma io sono anche stirpe di 'samurai'. Mio nonno, Saburo Ioshida, era secondo ufficiale dell'incrociatore Sendai quando è stato affondato insieme alla corazzata Jamato nella battaglia navale di Okinawa.".
Con pazienza, mi aveva fatto accomodare sulla sedia, mentre lei si sedeva sul piano della sua scrivania, e aveva iniziato a spiegare una piccola pagina di storia patria e famigliare. Quella di Okinawa, il 7 aprile 1945, era stata l'ultima tragica battaglia della Marina Imperiale Giapponese: le poche navi superstiti della grande flotta erano state inviate a contrastare lo sbarco americano. Era una missione dichiaratamente suicida e solo così la Marina Imperiale poteva scontare il disonore di non essere stata in grado di difendere dal nemico il suolo nazionale e la sacra persona dell'Imperatore. "Tornando a noi, Jana, - aveva ribadito alzandosi dalla scrivania - "Io sono stirpe di samurai e quindi samurai io stessa.". La sua persona, non alta di statura, sembrava stesse crescendo davanti a me; guardavo il suo bel viso fiero e avevo l'impressione che Kaori-san stesse diventando un gigante.
"Se io questa notte fossi stata infedele a mio marito - tu non ti rendi neppure conto cosa significhi l'onore per una samurai - io avrei disonorato mio marito e me stessa.". Cominciavo a capire qualcosa. Ma Kaori aveva ancora altro da aggiungere, e l'aveva espresso con forza: "Dovrei fare 'Seppuku'!"
Infine, con un filo di voce, mi aveva chiesto: "Lo sai, Jana cara, cosa significa?!". Sapevo che si trattava del suicidio rituale ed era fin troppo evidente che non potevo insistere oltre. Anche se non potevo credere di essermi sbagliata.
Avevo annuito alla sua domanda e mi ero costretta a mentire: "Certamente hai ragione tu, Kaori. Non so come posso avere pensato una cosa simile!".
Mi aveva messo un braccio intorno alle spalle, tenera e comprensiva: "Carissima Jana, lo sai che ti voglio bene.". E poi aveva aggiunto: "Il tuo deve essere stato certamente un sogno. Un bellissimo sogno!" Mentre mi fissava con quei suoi dolci occhi a mandorla, attraversando i miei occhi fino in fondo all'anima, il suo sorriso cambiava sfumatura, alternativamente dolce e triste, mentre sussurrava con un tenuissimo filo di voce: "Devo confessarti, Jana, che anch'io questa notte ho fatto lo stesso sogno.".

Aveva concluso con il suo volto tanto grazioso velato di tristezza: "Ma era soltanto un bellissimo sogno!". E io le avevo fatto eco: "Proprio uno splendido sogno!".
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